Coi: “Piena solidarietà del Csv alle comunità terapeutiche sarde”

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La presidente del Centro Servizi per il Volontariato, Lucia Coi, esprime la vicinanza e la piena solidarietà di tutto il CSV della Sardegna nei confronti delle comunità terapeutiche sarde che aderiscono al Ceas, il Coordinamento che riunisce le principali realtà di questo settore (Mondo X–Sardegna, L’Aquilone, La Crucca, Casa Emmaus, Madonna del Rosario, Arcobaleno; Centro di accoglienza Don Vito Sguotti, Dianova), le quali «rischiano di chiudere a causa non solo del caro energia, che sta mettendo a durissima prova cittadini, imprese e strutture, ma anche per il mancato aggiornamento delle rette erogate dalla Regione Sardegna: queste, infatti, non coprono più nemmeno le ore di lavoro del personale impiegato, imposto dalle norme per l’accreditamento regionale».
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«A tutto ciò – sottolinea ancora Coi – si aggiunge il fatto che queste comunità, come anche tutte le strutture socioassistenziali dell’Isola, in periodo di pandemia non hanno ricevuto alcuna risorsa straordinaria e, di conseguenza, hanno dovuto far fronte a proprie spese all’acquisto dei dispositivi anti-Covid: mascherine, camici, disinfettante, tamponi. Dal 1980 ad oggi, le comunità sarde hanno accolto e curato più di 30mila persone, supportato le loro famiglie e i servizi sociali territoriali, e dato lavoro a oltre 600 persone. Riteniamo che il loro impegno, la dedizione, la competenza e i servizi essenziali da loro profusi in tutti questi anni, non possano essere ignorati ma, anzi, vadano supportati con adeguate risorse economiche».
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«Ancora una volta – è l’amaro commento di Giovanna Grillo, coordinatrice delle comunità terapeutiche della Sardegna – la politica non svolge il ruolo per cui è nata. Non comprendono che il potere dev’essere messo al servizio dei cittadini e per contrastare le difficoltà che le persone incontrano quotidianamente. Ma ora la misura è colma, non possiamo più stare zitti. Nessuno, all’interno della Giunta e del Consiglio regionale, è riuscito a darci risposte. Abbiamo inviato valanghe di Pec a tutti, nessuno escluso, e prodotto perizie giurate di professionisti che hanno dichiarato, di fronte al giudice, che le rette della Regione Sardegna non coprono neppure le ore di lavoro del personale obbligatorio che dobbiamo impiegare, se vogliamo avere l’accreditamento regionale. In più, non ci è stato dato un euro per far fronte alle spese sui dispositivi anti-Covid. Altre Regioni, come Veneto, Lombardia e Marche, sono intervenute con risorse straordinarie. Noi chiediamo il rimborso delle spese sostenute e l’adeguamento delle rette».
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«Negli ultimi dieci anni sono aumentate due volte sia le rette per la salute mentale, sia quelle per l’assistenza sociosanitaria. Le nostre sono rimaste invariate», aggiunge Grillo. «Siamo esasperati, ma sono contenta che la decisione di uscire allo scoperto con questa protesta sia stata adottata all’unanimità. Siamo davvero a un bivio, per la prima volta esiste la concreta possibilità che si debbano chiudere le nostre strutture. E questo problema sta emergendo in maniera evidente anche nel settore pubblico, dove si avverte una marcata assenza di personale medico e paramedico».
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La coordinatrice del Ceas parla anche della legge 309/90: «Prevede che ogni paziente possa decidere dove farsi curare. I nostri ospiti, però, dopo essere passati dai SerD, non possono esercitare questo diritto perché è stata istituita un’ulteriore Commissione, che si riunisce una volta ogni due settimane e stabilisce dove queste persone debbano recarsi. Ma ci sono alcuni pazienti che attendono una risposta da sei mesi. Ma un drogato che fa uso di 4 dosi di cocaina al giorno può morire da un momento all’altro. Non esiste una struttura pubblica che svolga il nostro lavoro. Senza di noi, nessun tossicodipendente in carcere potrebbe beneficiare delle misure alternative previste dalla legge 309/90».
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Padre Salvatore Morittu per una volta mette da parte la diplomazia e la propensione al dialogo che lo contraddistinguono. Anche lui è allo stremo. Il fondatore dell’associazione Mondo X-Sardegna, che nel 1980 al convento di San Mauro a Cagliari fondò la prima comunità terapeutica dell’Isola, non nasconde il grave rischio cui si sta andando incontro: «Tutte le strutture rimaste aperte nel territorio regionale saranno costrette a chiudere entro pochi mesi. Accogliamo persone inviate dal servizio pubblico che presentano problemi di dipendenza da sostanze stupefacenti, alcol, gioco d’azzardo, e detenuti in misure alternative, spesso con disturbi mentali e comunque a forte rischio di emarginazione sociale. Centinaia di pazienti dai prossimi mesi non avrebbero più un luogo sicuro e protetto dove curarsi e rientrerebbero quindi nei loro territori, con un grande rischio sia per le famiglie che per i Comuni di residenza. Le comunità sarde in oltre 40 anni di attività hanno accolto e curato più di 30mila persone, supportando le loro famiglie e i servizi sociali, dando lavoro a oltre 600 persone. In due anni e mezzo di pandemia non abbiamo visto un centesimo, abbiamo dovuto far fronte da soli a questo aggravio di spese che non sono più sostenibili».
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